mercoledì 19 dicembre 2007

La ricerca in Italia è una cenerentola

Occorre svecchiare gli organici ed aprire all’iniziativa privata
dalla rivista Cult n.70 dic 2007
Tre ogni mille occupati. È il numero dei ricercatori in Italia. Il più basso in Europa, anche meno dei nuovi paesi entrati dall’est nella comunità europea.
Sono i dati emersi dal nuovo rapporto su scienza e società allegati all’annuario Scienza e Società 2007 realizzato da Observanet. Anche il presidente del Senato Franco Marini ha segnalato l’arretratezza dell’Italia rispetto ad altri Paesi evidenziando che "oggi l'Italia complessivamente spende l'1,1% del Pil, a fronte dell'1,8% dei paesi dell'Unione Europea del 2,7% negli Stati Uniti e di oltre il 3% del Giappone”.
Dai 130.700.000 euro del 2006 si è passati agli 82.110.000 euro del 2007. e per il 2008 la legge finanziaria non promette nulla di buono.
Eppure le menti italiane all’estero sono tra le più acute e produttive. Dato confermato recentemente, se ce ne fosse stato bisogno, dalla assegnazione del premio Nobel per la medicina a Mario Capecchi ricercatore presso l’università dello Utah di Salt Lake City negli USA.
Questo scienziato nato a Verona ha sempre studiato e lavorato negli Stati Uniti dove si è laureato in biofisica nell'università di Harvard. Ha il merito di essere stato il primo a creare i topi geneticamente modificati, oggi utilizzati nei laboratori di tutto il mondo e cruciali per riprodurre malattie umane da studiare in dettaglio o, ancora, per sperimentare l'efficacia di nuovi farmaci.
Per tornare alle poche opportunità di casa nostra ci si chiede: dove è finito il progetto RI.MED nato dalla collaborazione fra l'Italia e gli Stati Uniti, attraverso l'universita' di Pittsburgh? Un progetto nato nel 2005 e che prevedeva il finanziamento di 330 milioni di euro per la realizzazione, tra Cinisi e Carini, dell'Istituto di Biotecnologie e Medicina.
Avrebbe dato lavoro a seicento ricercatori nell’ambito di otto aree di ricerca tra le più importanti e produttive tra cui studi di genetica e medicina rigenerativa con le cellule staminali adulte. Per non parlare poi dell’indotto.
L’appello del professore Camillo Ricordi direttore del Diabetes Research di Miami, il più grande centro di cura per il diabete esistente al mondo e del professore Bruno Gridelli direttore medico scientifico dell’ISMeTT lanciato a gennaio di quest’anno è caduto nel vuoto?
Leggendo le notizie sul sito Internet del RIMED sembra che il progetto sia andato avanti anche se i fondi nella finanziaria del 2007 sono stati ridotti di 10 milioni nel 2007 e 2008 e di 50 lo saranno nel 2009.
L’attuale finanziaria, in via di approvazione, purtroppo, non fa ben sperare.
Il ministro dell'Università e la Ricerca Fabio Mussi ha infatti chiarito che per gli stanziamenti previsti dagli emendamenti presentati dal governo alla Camera: "Non ci sono soldi aggiuntivi per l'Università e la Ricerca, dal momento che la somma di 177 milioni di euro era già prevista".
Il professore Gridelli, da me intervistato, recentemente ha detto che è prevista una rimodulazione del progetto e che i lavori per la realizzazione dell’area dovrebbero partire all’inizio dell’anno 2008.
Lo speriamo ardentemente!
Ma a parte la quota assegnata dal bilancio finanziario dal governo italiano sempre maestro nella spesa e nel soddisfacimento degli interessi di una classe politica massificatrice ed utilitaristica, è la mentalità e l’organizzazione degli istituti dediti alla ricerca ad impedire lo sviluppo.
Infatti se da una parte, all’interno degli Istituti statali, manca la meritocrazia dall’altra manca il coinvolgimento dei privati e la possibilità di presentare progetti frutto di intuizioni e di risvolti pratici.
La ricerca di base ha il suo ruolo e serve a dare il metodo e la mentalità al ricercatore, ma non è tutto. Occorre anche pragmatismo e trasferimento della scienza alla tecnologia applicata.
Ruolo dello stato, a mio parere, non è quello di gestire in prima persona la ricerca, ma di controllare e di garantire l’eticità della ricerca.
Anche le università ed il consiglio nazionale della ricerca dovrebbero accettare e richiedere l’iniziativa esterna rivitalizzando i loro organici e mettendo a disposizione le loro strutture statali per portare a termine iniziative pratiche ed innovative.
Se in Italia il contributo privato raggiunge il 40% del totale, negli Usa esso raggiunge, anche attraverso una politica di sgravi fiscali per la ricerca, il 60% e il 75% in Giappone.
Anche il ruolo dei ricercatori dovrebbe essere molto fluido e finalizzato alla realizzazione dei progetti più che al raggiungimento di una posizione che serva esclusivamente a garantire diritti acquisiti e condizioni di privilegio.
È importante, poi, anche un ringiovanimento dell’organico della ricerca.
Al CNR, ad esempio, su 107 direttori di ricerca 32 hanno più di 67 anni con una media di 68 anni. Soltanto 14 ne hanno meno di 55. Lo stesso accade nelle università. A Pisa, ad esempio, dal 1966 ad oggi l’età media dei nuovi docenti si è alzata di 20 anni.
Non si tratta di voler fare una battaglia generazionale o di voler misconoscere il vantaggio dell’esperienza e dell’età, ma di lasciare spazio ai più giovani. Significa dare nuovo slancio, nuove idee, maggiore competizione.
Una grande risorsa potrebbe venire anche dalle aziende ospedaliere dove, a richiesta, una parte del personale, dotato dell’adeguato know-how, potrebbe essere destinato al conseguimento di obiettivi di ricerca interni ed esterni.
La creazione di dipartimenti di ricerca con unità operative finalizzate al conseguimento di tali obiettivi potrebbe dare grande slancio a progetti in tutti i settori della sanità.
Sono convinto che il personale di cui disponiamo, magari dopo regolari master di ricerca, potrebbe garantire un impulso notevole al progresso biomedico.
L’indotto potrebbe creare nuovi posti di lavoro ed attirare, questa volta a ragione, una grande quantità di ricercatori dagli altri paesi, dal bacino del mediterraneo in primis.
Un paese, infatti, che investe in ricerca nel medio e nel lungo termine proponendosi traguardi ragionevoli capaci di competere sul mercato internazionale della scienza e della tecnologia solleverà certamente le sorti economiche, sociali e culturali dei propri cittadini.
Ma forse, purtroppo, la politica dei nostri governi è troppo miope e guarda soltanto al proprio immediato tornaconto.
Guido F. Guida

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