lunedì 13 ottobre 2008

Sicilia cuore 9-11 ottobre 2008

Sicilia Cuore 2008 giunge
così alla sua terza edizione consecutiva con numeri di tutto rispetto: settantaquattro relatori, cinque simposi di cui uno in video-teleconferenza nazionale con Roma e Milano e due corsi di aggiornamento: uno per farmacisti ed uno per infermieri.
Una occasione per medici sia specialisti cardiologi che non per fare il punto sui temi più attuali e pratici della cardiologia clinica.
Il programma prevede i seguenti argomenti principali:
1. Il dolore toracico: sintomo carico di risvolti clinici e medico legali che preoccupa il medico tutte le volte in cui si trova ad affrontarlo. Ognuno, a seconda della posizione funzionale che occupa deve svolgere un ruolo che possa consentite una rapida soluzione al quesito clinico ed un adeguato intervento terapeutico.
2. Lo scompenso cardiaco. Un problema di grande impatto epidemiologico con un trend crescente che deve anch’esso essere affrontato, soprattutto nella sua forma cronica, nell’ambito di una visione organica che possa garantire un’adeguata continuità di assistenza tra ospedale e territorio. Alla luce delle ultime linee guida 2008 della Società Europea di Cardiologia vengono proposte soluzioni particolarmente evolute che fanno ricorso alla telemedicina. All’interno di un team specializzato nello scompenso un grande rilievo ha, poi, una figura professionale particolarmente innovativa come quella dell’infermiere tutor che qualifica la professione infermieristica per giungere a soluzioni razionali efficaci ed efficienti.
3. Sindrome metabolica ed ipertensione arteriosa. Una visione completa che va dal ruolo ed il controllo dei fattori di rischio alle nuove prospettive farmacologiche.
4. Morte improvvisa. Un problema presente in tutte le classi di età sia nei soggetti giovani apparentemente sani che negli anziani con pluripatologie croniche. Ci si chiede: un’accurata anamnesi familiare e patologica sono sufficienti a stratificare il rischio?. Quali sono i test genetici e quelli provocativi? Quale il ruolo dell’elettrocardiogramma di superficie e dello studio elettrofisiologico endocavitario? Come prevenire le morti durante l’attività fisica nei soggetti giovani? Come organizzare la rete della sopravvivenza? Chi può usare il defibrillatore e come usarlo in caso di arresto cardiaco? Sono tutte domande alle quali è fondamentale dare una risposta. Un intervento poco organizzato e competente può infatti compromettere il buon esito della rianimazione cardiopolmonare.
5. I DES ed una diversa terapia antiaggregante. Da circa due anni i DES sono al centro di una diatriba che prima li ha screditati e che ora li riabilita. Quale il ruolo di questi presidi nella cardiopatia ischemica?
6. La fibrillazione atriale è la più frequente delle aritmie cardiache. Controllo del ritmo o semplicemente della frequenza? Quale è il ruolo della terapia medica antiaritmica, antiaggregante/anticoagulante, degli ARB e della digitale in questa patologia?
7. L’ischemia cronica. L’ischemia cronica miocardica è un grande problema spesso sottovalutato che può compromettere la qualità della vita dei pazienti e che va affrontato con grande impegno. Spesso i pazienti si sento poco considerati, continuano indefinitivamente terapie di dimissione ospedaliera che, invece, vanno modulate, riorganizzate e ritagliate sul paziente. Un problema che, forse, nasce all’origine della malattia in ambito ospedaliero quando insorge acutamente (SCA) e che si perpetua ed ingigantisce nell’assistenza territoriale. Una scarsa comunicazione tra gli operatori sanitari e tra di essi ed il paziente con i propri familiari ne è spesso alla base. Il paziente deve conoscere la propria malattia e partecipare attivamente al controllo dei sintomi ed alla cura. La riabilitazione e la prevenzione secondaria se ne gioveranno enormemente.
8. Per finire un’attenzione particolare va posta alla evolutività della placca aterosclerotica. Cosa ci dicono gli ultimi studi sul controllo dei fattori di rischio. Ci sono nuove indagini strumentali? E la terapia medica ha fatto progressi?
Un sentito ringraziamento va al CFC news per averci ospitato sulle sue pagine ed allo sponsor che supporta l’iniziativa.
Gli autori dei testi potranno rispondere ad eventuali quesiti per e-mail e, forse, su nuovi numeri del CFC news.
A tutti una buona e fattiva lettura.
A nome del comitato organizzatore di Sicilia Cuore 2008 composto da Antonio Castello, Guido Francesco Guida ed Alfredo Monteverde
Guido Francesco Guida

In questo post autori:
G. F. Guida, C. Fernandez, D. Di Vincenzo, M. Vaccaro, G. D'Alfonso, M. Di Franco, C. Gugliotta, G. Gruttadauria

Scompenso cardiaco: strategie per una migliore gestione integrata ospedale-territorio
Guido Francesco Guida
Cardiologia DS14, P.O. Guadagna, AUS6 Palermo

Riassunto
Lo scompenso cardiaco è una delle patologie emergenti dei paesi occidentali con un grande impatto sia dal punto di vista epidemiologico che clinico.
Una cattiva gestione integrata ospedale-territorio ed una diagnosi tardiva si ripercuotono negativamente sulla salute, la qualità della vita dei pazienti e sulla spesa del SSN.
Molte sono state, in letteratura, le soluzioni proposte al problema, ma, tra queste, la realizzazione di una rete gestionale con una unità operativa cardiologica autonoma di telemedicina si ritiene possa essere la migliore soluzione.
Tale unità operativa è altamente innovativa sia per quanto riguarda l’uso combinato della tecnologia informatica e della comunicazione elettronica che di nuove figure professionali come quella dell’infermiere tutor.
L’unità, infine, consente una diagnosi precoce, una maggiore implementazione delle linee guida ed, in definitiva, la continuità assistenziale dei pazienti.

Summary
Heart failure is one of the most important emerging disease of Western countries with a big impact both epidemiological and clinical.
A bad integrated management between hospital and territory and a late diagnosis negatively affect the health, quality of life of patients and national health service expenditure.
Many solutions can found in medical literature, but the best seems to be a managerial network with an independent cardiological unit of telemedicine.
This unit is very innovative both for information technology mixed with electronic communication and new professionals such as the tutor nurse.
Finally the unit allows an early diagnosis, a greater implementation of guidelines, and, to come to the point, patients’ continuity welfare.

Introduzione
Sia i dati epidemiologici italiani (registro ANMCO IN-CHF) che quelli degli altri paesi occidentali (Framingham Heart Study, Olmested Study) sono concordi nell’affermare che lo scompenso cardiaco (SC) è un problema di grande rilievo epidemiologico con importanti conseguenze di ordine assistenziale.
Esso occupa un posto prominente tra le malattie cardiovascolari (prima causa di mortalità in Italia) e rappresenta l’epilogo di tutte le malattie cardiache croniche (ischemiche, valvolari, dismetaboliche).
Paradossalmente, verosimilmente per la presenza di nuovi substrati fisiopatologici, l’incidenza dello SC sembra aumentare nonostante la riduzione della mortalità per infarto e per altre malattie cardiovascolari.
Epidemiologia
Gli studi osservazionali più importanti hanno dimostrato che la prevalenza è compresa tra lo 0.2 ed il 2% variando considerevolmente in rapporto all’età. Lo SC, infatti, è fondamentalmente una malattia dell’anziano (1-2-3) interessando dal 6 al 10% dei soggetti > di 65 anni (4) con un incremento dei tassi specifici di mortalità in entrambi i sessi.
Poiché la popolazione generale, ormai da diversi anni va incontro ad un aumento costante e graduale dell’aspettativa di vita si comprende come lo SC abbia un trend in costante crescita.
In Italia circa un milione di persone sono affette da scompenso cardiaco (estrapolando: circa 86000 in Sicilia).
Fig.1I dati più recenti mostrano che in Italia la malattia ha una incidenza variabile (5-20/1000).
In Italia si hanno circa 180000 nuovi casi ogni anno con un rapporto M:F di 3:1 (Eur J Heart Fail, 2001). Il 30% ha un’età superiore ai 65 anni (fig 1).
La mortalità attuale è elevata. Circa il 15% muore entro il primo anno dalla diagnosi (Progetto Veneto Anziani, 2002), mentre dal 45% al 65% (OLMSTED Study) muore entro 5 anni.
L’epidemiologia sin qui riportata, come segnala la corrente letteratura, è soltanto la punta dell’iceberg. Infatti gran parte degli scompensi cardiaci in fase iniziale (Classe NYHA I e II) non sono diagnosticati. Poiché un adeguato trattamento può modificare la storia naturale dello SC si comprende quanto questa carenza diagnostica aggravi la patologia.
Reospedalizzazione
Circa il 45% dei malati dimessi per scompenso cardiaco torna in ospedale entro sei mesi con una media di 2.5 ricoveri/anno (8). Anche negli USA la metà dei pazienti con più di 65 anni di età con SC è riammesso in ospedale entro l’anno.
Costi
Tra le malattie cardiovascolari, lo SC rappresenta la principale voce di spesa per il SSN (624 milioni di euro/anno, dal 60 al 70% dovuto alla re-ospedalizzazione);
Tra tutti i DRG in Italia lo SC rappresenta il terzo in assoluto.
Il relativo DRG 127 è tra i più costosi, con una spesa pari al 2% dei costi totali del SSN per i ricoveri ospedalieri (ANMCO, 2005)
In medicina generale, invece, come accade anche in USA (5), con l’8% è il primo DRG con una degenza media di 11.82 giorni (FADOI, 2000).
Situazione attuale
Nel nostro paese, in genere, un paziente con SC cronico ha le seguenti possibilità di cura: il medico di medicina generale (MMG), lo specialista ambulatoriale interno e convenzionato esterno, l’ambulatorio ospedaliero, il cardiologo privato. Sono queste soluzioni che non propongono una vera e propria cura, ma semplici consulenze spesso fornite dopo un’attesa di diversi giorni.
D’altronde gli ambulatori ospedalieri dedicati sono molto pochi e gli ambulatori cardiologici extraospedalieri, salvo rare eccezioni, offrono più semplici visite specialistiche che continuità assistenziale.
Il problema
Diagnosticare e trattare lo SC necessita di particolari competenze ed organizzazione che mancano attualmente . La Consensus Conference promossa dall’ANMCO nel 2005 (9) ha evidenziato come solo una piccola percentuale di pazienti con SC è curata da cardiologi competenti dedicati.
La diagnosi precoce è spesso carente. I casi diagnosticati, si ribadisce, rappresentano solo la “punta dell’iceberg” determinando un grave danno poiché un trattamento precoce può migliorare la prognosi.
Quando la diagnosi è stata posta ed è occorso un eventuale ricovero, manca un’adeguata continuità assistenziale ed un percorso diagnostico e terapeutico integrato.
Da quanto detto appare chiaro come il trattamento dello SC sia lontano dall’essere ottimale.
L’analisi delle cause è stata condotta in svariate sedi scientifiche ed istituzionali evidenziando che esse hanno un peso differente.
Le più importanti riguardano:
- nel 35% la mancanza di continuità assistenziale ospedale-territorio con grande eterogeneità nei percorsi intra- ed extra ospedalieri delle diverse realtà italiane (10);
- nel 25% l’inappropriatezza diagnostico-terapeutica. Circa la metà delle cure e dei percorsi diagnostici raccomandati dalle linee guida (7-11) non è prescritta ai pazienti che ricevono un’assistenza non ottimale. Una diagnosi basata, poi, esclusivamente su criteri clinici (come può fare il MMG) è spesso inadeguata particolarmente nel sesso femminile, negli anziani e nei diabetici (7);
- nel 20% la ridotta compliance del paziente. Il coinvolgimento nella cura sia dei pazienti che di coloro quali li accudiscono (caregiver) è minimo. L’aderenza alla terapia e, conseguentemente, il destino del paziente è poi diverso se a trattarlo è il cardiologo, l’internista, il MMG od altri specialisti (12-13);
- nel 15% problemi logistici paziente/medico. Spesso questi pazienti hanno difficoltà a deambulare, ad ottenere una prenotazione specialistica, ad eseguire gli esami diagnostici e sono poco seguiti al loro domicilio dal MMG;
- nell 5% assenza di cure. È questa una causa ormai, per fortuna, di poco peso in quanto sia la farmacopea che le indagini strumentali biologiche e di imaging sono talmente sofisticate da fornire una soluzione alla maggior parte dei casi.
Occorre, pertanto trovare nuove vie di cura dello SC. Impegnarsi in ciò è chiaramente coerente con la mission del SSN tutto. Realizzare una adeguata continuità assistenziale consentirà:
un miglioramento della qualità della vita dei pazienti con una maggiore umanizzazione dell’assistenza;
un maggior diritto all’informazione del paziente;
un’attività di prevenzione della malattia;
una migliore efficacia della cura, una riduzione della spesa con una ridistribuzione delle risorse che possono così essere utilizzate per migliorare la qualità e la quantità dell’assistenza.
Alternative di soluzione
Esistono già da anni una serie di esperienze che sono riuscite, in parte, a migliorare l’out-come dei pazienti con SC attraverso un intervento programmato di supporto telefonico con discreti risultati sulla riduzione dei ricoveri, ma con dati contrastanti sulla mortalità (TEN-HMS trial, DIAL trial) (14-15-16).
Questo sistema però affronta soltanto uno dei punti deboli della catena (rapporto specialista cardiologo-paziente) tralasciando gli altri ( rapporto MMG-centro cardiologico, centro cardiologico-ospedale). Vedi figura 2

Specialista
Card Territorio Fig.2
Specialista
Cardiologo Paziente MMG
Ospedale


L’evidenza corrente suggerisce che la migliore gestione dello SC deve comprendere (17-18-19)
· Competenza del paziente nella cura autonoma (self care education) ed aderenza alla dieta ed ai farmaci (coinvolti: paziente, familiari, MMG, IP);
· Sorveglianza e monitoraggio per evidenziare precocemente i segni dello scompenso (coinvolti: cardiologo specialista, paziente, familiari, MMG, IP);
· Sanitari specializzati nello scompenso per far fronte adeguatamente agli interventi (coinvolti: cardiologo specialista, IP);
· Accesso facilitato per opportune cure in regime di degenza ospedaliera (coinvolti: cardiologo specialista, cardiologo ospedaliero)
· Trasferimento immediato di dati biologici e strumentali (PAO, peso corporeo, NT-proBNP, ecg, ecocardiogramma etc…) nello scompenso cardiaco avanzato (II-III classe NYHA) o nel paziente fragile anziano
Soluzione
Occorre, pertanto, la realizzazione di una U.O. autonoma di telecardiologia che, pervenendo in tempo reale a tutti i dati biofisici e di imaging necessari alla corretta gestione della malattia, svolga un ruolo di raccordo e di catalizzatore tra tutte le componenti interessate nella gestione dello SC: paziente, familiari, associazioni di supporto, MMG, specialista cardiologo territoriale, specialista cardiologo ospedaliero. Vedi Fig.3


Fig.3

L’unità di telecardiologia consentirà poi il:
1. Telemonitoraggio multiparametrico domiciliare: utilizzo delle tecnologie di telecomunicazione per effettuare un controllo o assistenza di tipo clinico al paziente in assenza di contatto diretto (es. trasmissione ECG, refertazione centralizzata, attivazione del Servizio di Emergenza e del ricovero ospedaliero programmato).
2. Telegestione o Telemenagement: trasmissione a distanza di dati sanitari (cartelle, immagini, esami) operata da personale sanitario (infermieristico, medico, tecnico), generalmente per via telematica, all’interno di reti complesse di strutture sanitarie. Essa è impiegata prevalentemente per la gestione centralizzata di attività di refertazione, consulto e archiviazione, oppure più recentemente per la programmazione ed il controllo a distanza di apparecchiature sofisticate (elettrocardiografi) o di procedure mediche ( titolazione farmacologia di ACE-inibitori, ß-bloccanti, warfarin) od interventi chirurgici (es: trapianti cardaci).
3. Teleconsulto: messagistica operativa tra MMG, IP tutor e specialisti cardiologi

Il telemonitoraggio di questi pazienti deve essere visto, pertanto, non come un diverso trattamento, ma piuttosto come un modo differente di organizzare efficacemente la cura dello SC (23).

Infermiere tutor
Un ruolo importante è affidato alla figura dell’infermiere professionale tutor il quale, oltre che interagire con tecnologie avanzate, dovrà essere il raccordo fondamentale tra il paziente scompensato ed il medico. Egli sarà, in prima persona, il responsabile della qualità dei dati rilevati e della loro trasmissione in rete.
Compito fondamentale dell’infermiere tutor sarà anche quello di filtro sul monitoraggio dei pazienti dimostrandosi in grado di svolgere attività di triage con l’identificazione di tre diversi codici che prevedono interventi medici differenziati.

Obiettivi
L’unità operativa consentirà di raggiungere i seguenti obiettivi:
1. Miglioramento dell’aderenza del paziente agli stili di vita consigliati, in particolare, regime dietetico ed apporto di liquidi
2. Miglioramento della compliance farmacologia. Questi due obiettivi porteranno ad una migliore stabilità clinica
3. Miglioramento della qualità della vita del paziente scompensato
4. Riduzione delle reospedalizzazioni per SC
5. Riduzione delle visite specialistiche e degli esami strumentali esterni (elettrocardiogramma, ecocardiogramma) per SC
6. Migliore appropriatezza prescrittiva da parte del MMG
Identificazione precoce dello SC che verrà stadiato secondo la nuova classificazione dell’American College of Cardiology e dell’American Heart Association. Questa classificazione dà importanza al fatto che per lo sviluppo dello SC sono necessari fattori di rischio stabili ed anormalità strutturali, che nella prassi la sua natura progressiva è sottostimata e che sono necessarie strategie di trattamento fondate sulla prevenzione su larga scala.

Solo così si potrà realizzare un progetto organico di presa in cura ed in carico del paziente che possa consentire un programma centrato sulla persona (client-oriented) integrato tra numerosi professionisti ognuno dei quali svolge un ruolo diverso e complementare per un corretto “disease management”.
Un percorso diagnostico-terapeutico standardizzato secondo interventi di provata efficienza ed efficacia che facciano costante riferimento, nel rispetto della specificità del paziente, alle attuali linee guida.
Una siffatta unità operativa avrà inizialmente come utenti i pazienti affetti da SC cronico.
In futuro altre patologie croniche cardiache come, ad esempio, la cardiopatia ischemica o l’ipertensione arteriosa potranno giovarsi di tale tipo di gestione utilizzando lo stesso supporto organizzativo.
Ostacoli e criticità
Gli ostacoli attuali sono soprattutto di ordine culturale e sociale legati ad una visione utilitaristica e di monopolio di alcune aree mediche, a poca competenza informatica del personale medico ed infermieristico ed alla scarsa familiarità con il lavoro in rete gestionale.
Esistono poi un a serie di criticità legate alla novità della tecnologia utilizzata che, comunque, cominciano ad essere risolte a seguito di precedenti esperienze nazionali ed internazionali, da consensus e da linee guida sull’argomento ( 7, 11).
Tra queste ricordiamo:
- scarsa diffusione delle tecnologie informatiche e di comunicazione nelle strutture sanitarie;
- carenza di standard di registrazione e memorizzazione dei dati e dei protocolli di comunicazione;
- mancato riconoscimento formale della telecardiologia da parte del SSN e delle Assicurazioni Private;
- assenza di una politica di rimborso adeguato delle prestazioni erogate a distanza per mancata codifica di queste prestazioni con DRG o nel nomenclatore tariffario.
- I seguenti problemi risultano in parte già superati:
1. scarsa definizione delle responsabilità medico-legali del cardiologo on-call e del medico di riferimento con l’adozione della firma digitale;
2. effettiva significatività clinica e diagnostica del semplice elettrocardiogramma in assenza di visita cardiologica clinica con l’adozione di test ematochimici di compenso cardiaco (ormoni natriuretici) e la possibilità di trasmissione anche di immagini ecocardiografiche in movimento.

Conclusioni

Lo scompenso cardiaco rappresenta un grave problema socio-sanitario in costante aumento in tutti i paesi occidentali.
L’attuale modo di affrontare la malattia lascia buona parte dello SC non diagnosticato proprio nelle fasi iniziali della malattia quando lo SC può essere reversibile o, comunque, può essere ritardato nella sua evoluzione.
Nei pazienti noti mantiene ed incrementa il problema con elevati costi per la sanità (re-ospedalizzazione, scarsa appropriatezza ed aderenza alle cure, visite specialistiche scollegate da un percorso virtuoso di cura, etc..) e bassa qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari.
La realizzazione di un servizio di telemedicina può essere la soluzione.
Esso, utilizzando nuove figure professionali e le ultime risorse della tecnologia informatica, garantisce, con un sistema di medicina personalizzata, la diagnosi precoce, una corretta terapia e, fondamentalmente, la continuità assistenziale integrata di questi pazienti.
Ciò riduce considerevolmente i costi della sanità, migliora l’efficacia dell’intervento e, soprattutto, migliora la qualità della vita dei pazienti.


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Il destino oscuro del paziente ischemico cronico: introduzione
Guido Francesco Guida
Cardiologia DS14, P.O. Guadagna, AUSL6 Palermo



But there is a disorder of the breast marked with strong and peculiar
symptoms, considerable for the kind of danger belonging to it, and
not extremely rare, which deserves to be mentioned more at length.
The seat of it, and sense of strangling, and anxiety with which it is
attended, may make it not improperly be called angina pectoris
Heberden W. Some account of a disorder of the breast.Medical Transactions 2, 59-67 (1772) London: Royal College of Physicians


È di grande lungimiranza la prima descrizione ufficiale dell’angina pectoris di W Heberden che però, forse, non immaginava quanto attuale sarebbe stata la cardiopatia ischemica a distanza di circa 330 anni.
La cardiopatia ischemica resta, infatti, l’epidemia del nostro secolo ed è in crescita sia nei paesi in via di sviluppo che, ancor più, in quelli sviluppati con allarmanti previsioni dell’OMS.

Framingham, genomics, evolutività della placca aterosclerotica. Molto si è detto e si sa sui fattori di rischio, sulla genetica e sulle cause che portano alla cardiopatia ischemica, un po’ meno si conosce sulle cause che dalla cronicità portano all’instabilità del paziente.
Ma al di là di queste considerazioni di fisiopatologia, comunque in buona parte ancora oscure, resta la condizione lo status clinico, psicologico e sociale di questo paziente che, tranne rare eccezioni, vive male la sua vita.

Il modello concettuale di Wilson e Cleary di qualità della vita collegata allo stato di salute ci aiuta nella comprensione di questo processo.
Le motivazioni sono sia legate ad uno scarso controllo dei sintomi (bassa soglia di angor) oppure agli effetti collaterali della terapia (astenia, tosse, edemi declivi, etc..) che ad un difetto di comunicazione generalizzato tra medici e tra medici e pazienti e tra le diverse strutture sanitarie interessate: ospedale, cardiologo del territorio, MMG, infermiere, care giver, associazioni di volontariato. Con scarsa partecipazione alla cura sia dei familiari che dei pazienti stessi.
Spesso ci troviamo di fronte a pazienti complicati (diabetici, broncopatici cronici, ipertesi, con insufficienza multi-organo) ed oggi spesso anziani: i, cosiddetti, pazienti fragili.
Pazienti dimessi dai reparti di terapia intensiva giustamente con una fila interminabile di terapie che continuano invariata per anni.
Senza sapere che le terapie vanno adattate al quotidiano, alle abitudini di vita e lavorative, terapie che variano in rapporto alle stagioni ed alla evoluzione stessa della malattia (sia in positivo che negativo).
A questo si aggiunge una condizione psicologica compromessa con stati di ansia e depressione.
In definitiva manca una rete sanitaria di accoglienza e di gestione del malato.
Il paziente si sente preso come in un vortice di paura e o cade in depressione oppure va girando da un sanitario all’altro consumando risorse fisiche ed economiche.
Sarà compito non facile del nostro SSN focalizzare quelle che sono le criticità della cardiopatia ischemica cronica fornendo un’adeguata assistenza territoriale integrata.
Occorrerà, pertanto, guardare al così detto lato oscuro della malattia di questi pazienti spesso abbandonati ai loro problemi per dare un po’ di luce e di soluzioni a questo complesso e sempre più attuale tema.
Solo così riusciremo a razionalizzare la spesa sanitaria fornendo, nel contempo, una assistenza sanitaria più efficace ed efficiente.



Cosa ci ha insegnato L’EUROASPIRE ?
C. Fernandez
Direttore Giornale Italiano di Cardiologia Pratica /Italian Journal of Practice Cardiology
(Palermo-Roma)


Riassunto: L’EUROASPIRE ha iniziato sotto l’egida delle tre maggiori Società Europee di cardiologia raccomandazioni per la prevenzione secondaria della malattia coronarica nella pratica clinica. Scopo della EUROASPIRE era individuare i maggiori fattori di rischio della malattia coronarica e modificarne ove possibile il decorso nella speranza di ridurre la riospedalizzazione e gli eventi patologici successivi.
I risultati nel tempo sono stati molto deludenti e la strada della prevenzione cardiovascolare è ancora tutta in salita.

SUMMARY The three major European scientific societies in cardiovascular medicine--the European Society of Cardiology (ESC), the European Atherosclerosis Society and the European Society of Hypertension--published in October 1994 joint recommendations on prevention of coronary heart disease in clinical practice. Patients with established coronary heart disease, or other major atherosclerotic disease, were deemed to be the top priority for prevention.
The aims of EUROASPIRE were to determine whether the major risk factors for coronary heart disease are recorded in patients medical records; (ii) to measure the modifiable risk factors and describe their current management following hospitalization, and to determine whether first degree blood relatives have been screened.
The reasons for the failure to impact greatly on lifestyle need to be examined further.

L’EUROASPIRE è il sondaggio che fotografa lo stato della prevenzione secondaria nel campo delle malattie cardiovascolari in 22 nazioni europee.
Le survey sono iniziate, la prima nell’Ottobre 1994 e la terza si è conclusa alla fine del 2007; solo da poco se ne conoscono i dati conclusivi che sono estremamente deludenti in quanto la riduzione del rischio cardiovascolare, nella pratica clinica è ancora molto lontana da quelle che erano le aspettative rispetto al momento di inizio delle survey.
Sulla base delle migliorate conoscenze e delle terapie sempre più aggiornate sappiamo che nella gestione del post-infarto si può ottenere sia la riduzione della mortalità che della morbilità accessoria attraverso il controllo di alcuni fattori di rischio modificabili (ipertensione, ipercolesterolemia, obesità, fumo etc.).
Purtroppo questi risultati non si sono verificati e a rivelarlo è stata la terza edizione di EUROASPIRE
A distanza di un anno da un ricovero per eventi cardiovascolari o interventi di rivascolarizzazione il 18,2% dei pazienti continua a fumare; il 38% se già obeso mantiene il suo peso, mentre nell’intera popolazione il 54,9% è affetto da obesità centrale. Ciò che è drammatico è notare l’aumento netto di questi valori rispetto alla prima indagine condotta nel 1994 : allora gli obesi erano il 25% ed i pazienti affetti da obesità centrale erano il 42,2%.
Sono preoccupanti anche i dati relativi al controllo pressorio; il 60,9% di questi pazienti non raggiunge gli obiettivi indicati dalle linee-guida.
Drammatica è anche la progressione del diabete che nella prima edizione di EUROASPIRE era del 17,4% mentre nell’EUROASPIRE III era del 28%.
L’unico dato positivo viene invece dal colesterolo: i pazienti con ipercolesterolemia e con aumento dell’LDL risultano dimezzati rispetto alla prima indagine (95% nella prima, 46% in quella attuale); ciò probabilmente è da attribuire al diffusissimo impiego delle statine : nell’ultima indagine venivano usate dall’87% dei pazienti, contro il 18,1% del 1995.
Queste cifre cosi deludenti ci hanno insegnato molto e devono indurci ad effettuare sia una considerazione analitica che ne possa spiegare la motivazione o comunque l’origine, sia la possibilità di programmare ulteriori, necessari interventi correttivi.
A chi compete la prevenzione ? alla collettività intesa sia come somma di individui che come autorità di governo.
Ma è compito del medico di famiglia identificare i soggetti più a rischio, metterli in guardia e tenerli sotto controllo. Sarà lui, se non a consigliare direttamente la terapia, ma a verificarne l’uso di quanto e stato consigliato dal cardiologo o dall’internista.
Questo schema, anticipato da Geoffrey Rose, pioniere della cardiologia preventiva e chairman del primo working-group della Società europea di cardiologia preventiva.
Questo concetto da lui anticipato ha oggi analogo rilievo e identica attualità e rappresenta l’elemento primo di difesa della prevenzione; solo modificando lo stile di vita si possono ottenere risultati significativi. Soltanto il medico di Famiglia può aiutare il paziente in questa difficilissima operazione in quanto l’adulto da solo non riesce a cambiare le sue abitudini e porgere attenzioni alla prevenzione ; il cardiologo o l’internista possono collaborare ma il loro contatto col paziente è sporadico e come tale destinato a fallire.
La nostra seconda osservazione propositiva, quella che noi abbiamo definito “l’autorità di governo” non è da sottovalutare ma ha necessità di tempi molto lunghi in quanto le disposizioni autoritarie possono dare risultati molto limitati: un esempio può essere identificato nella legge che ha bandito il fumo dai luoghi pubblici. In Italia la prevalenza dei fumatori tra i pazienti con malattie cardiovascolari è del 14%, la percentuale più bassa di tutta Europa. Molto più difficile è ipotizzare qualcosa di simile che possa obbligare il paziente a misurare periodicamente la sua pressione o a controllare il suo peso o la glicemia !
Si ha la sensazione che il fattore esplicativo di tipo giornalistico o televisivo possa fare qualcosa ma con molto ritardo anche si ha l’impressione che l’implemantazione dei programmi di prevenzione e di riabilitazione, nel tempo, specie se ben strutturati, possa dare risultati positivi. E’ molto difficile per un adulto cambiare le sue abitudini di vita e nel complesso si ha la sensazione di una limitatissima attenzione che questi pazienti riservano ai programmi loro indirizzati.
E’ necessario ipotizzare approcci professionali multidisciplinari che coinvolgano i medici di famiglia, il cardiologo e i centri specializzati in cardiologia preventiva.
I pazienti hanno bisogno di questo supporto professionale per modificare il loro stile di vita; non è sufficiente mettere loro in mano una ricetta; devono capire la natura della loro malattia e come combatterla attraverso i farmaci e lo stile di vita: quindi possiamo ipotizzare risultati più confortanti nella EUROASPIRE (IV se vi sarà ?) in definitiva solo realizzando programmi completi e ben strutturati di prevenzione e riabilitazione.

Bibliografia consigliata
Winkleby MA, Jatulis DE, Frank E, Fortmann SP. Socioeconomic status and health: how education, income, and occupation contribute to risk factors for cardiovascular disease. Am J Public Health. 1992 Jun;82(6):816–820.
Hinkle LE Jr, Whitney LH, Lehman EW, Dunn J, Benjamin B, King R, Plakun A, Flehinger B. Occupation, education, and coronary heart disease. Risk is influenced more by education and background than by occupational experiences, in the Bell System. Science. 1968 Jul 19;161(838):238–246.
Rose G, Marmot MG. Social class and coronary heart disease. Br Heart J. 1981 Jan;45(1):13–19.
Simon J, Cajzl L, Krizanovská M, Krízek M, Kraus J. Occupation and education in relation to risk factors of ischaemic heart disease in the male industrial population. Cor Vasa. 1986;28(3):167–176.
Kilander L, Berglund L, Boberg M, Vessby B, Lithell H. Education, lifestyle factors and mortality from cardiovascular disease and cancer. A 25-year follow-up of Swedish 50-year-old men. Int J Epidemiol. 2001 Oct;30(5):1119–1126.
Cavelaars AE, Kunst AE, Geurts JJ, Crialesi R, Grotvedt L, Helmert U, Lahelma E, Lundberg O, Matheson J, Mielck A, Mizrahi A, Mizrahi A, Rasmussen NK, Regidor E, Spuhler T, Mackenbach JP. Differences in self reported morbidity by educational level: a comparison of 11 western European countries. J Epidemiol Community Health. 1998 Apr;52(4):219–227.
Hemingway, Harry.; Marmot, Michael. Psychosocial factors in the aetiology and prognosis of coronary heart disease: systematic review of prospective cohort studies. BMJ. 1999 May 29;318(7196):1460–1467.
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Prevention of coronary heart disease in clinical practice. Recommendations of the Second Joint Task Force of European and other Societies on coronary prevention. Eur Heart J. 1998 Oct;19(10):1434–1503.
McCulloch, Andrew. Social environments and health: cross sectional national survey. BMJ. 2001 Jul 28;323(7306):a208–209.Muller, Andreas. Education, income inequality, and mortality: a multiple regression analysis. BMJ. 2002 Jan 5;324(7328):23–23.


Sindrome metabolica ed Ipertensione arteriosa. Il controllo dei fattori di rischio: ruolo del territorio
Domenico Di Vincenzo
Cardiologia, Ospedale “Cimino”, AUSL6 Palermo

Riassunto
Il punto di vista dell’ospedaliero, del medico di base, dello specialista ambulatoriale sul ruolo del territorio nel controllo dei fattori di rischio è indubbiamente parziale. Occorre superare ciò tenendo conto delle parole chiave: prevenzione, integrazione ed economia di gestione. Il medico di medicina generale ha un rapporto personale e continuativo con il paziente a differenza degli altri attori che operano nel sistema sanitario nazionale. Il medico di base è dunque un osservatore privilegiato ma è necessario che torni ad interpretare il ruolo di medico di famiglia, conoscitore delle abitudini e dell’ambiente in cui vive il paziente, degli ascendenti e dei discendenti e di eventuali condizioni genetiche che più frequentemente si manifestano in quel gruppo familiare. Ciò può essere utile a superare le criticità evidenziate dagli studi Euroaspire. Le società scientifiche e le associazioni professionali in tal senso hanno un compito rilevante poiché possono creare le condizioni culturali perché venga privilegiata la medicina di iniziativa piuttosto che quella d’attesa. L’integrazione ospedale – territorio attraverso la collaborazione dei vari attori, la condivisione delle risorse, l’uso dell’informatizzazione e di percorsi comuni condivisi rappresentano la chiave di volta per far crescere la qualità delle cure che è poi la vera sfida a cui il territorio è chiamato.

Summary
The point of view of the hospital doctor, general practitioner and consulting specialist about the role of territory in the control of the risk factors are undoubly partial.
It is need to go beyond that remembering the key words: prevention, integration, administration. The general practitioner has a personal and lasting relationship with his patient differently from the other actors operating in the national health system. The general practitioner is a privileged observer but he have to be a true family doctor. He knows patient habits and his natural environment, his parents and his progeny and familiar and genetic patterns. That is useful to go beyond Euroaspire criticism. Scientific society and professional associations have the relevant duty to promote initiative more than waiting medicine. Hospital and territory integration with collaborating “actors”, commune resources, computerized information, commune and participated course represent the keystone to develop quality of care, that is the true challenge for our territory.

Qual è il ruolo del territorio nel controllo dei fattori di rischio? E’ necessario andare oltre la prospettiva parziale del medico ospedaliero, allargando l’orizzonte ben al di là, considerando il punto di vista degli altri “attori” presenti nel territorio, i medici di medicina generale ed i pediatri, interpreti della cosiddetta continuità assistenziale e, anche, degli specialisti ambulatoriali e della medicina dei servizi. Comprendere ciò è un buon inizio per coniugare prevenzione, integrazione ed economia di gestione, le parole-chiave alle luce delle quali occorre leggere l’attuale assetto del sistema sanitario nazionale.
Troppo spesso gli interventi del decisore pubblico e l’iniziativa del singolo operatore appaiono slegati e orientati diversamente, perdendo d’incisività e disperdendo risorse, preziose e sempre più limitate nell’attuale contesto socioeconomico. Pur essendo state create unità operative volte esclusivamente alla prevenzione, pur essendo, per convinzione e per necessità, molti medici ambulatoriali, ospedalieri ed extraospedalieri, sensibili a tale impostazione, solo per i medici di continuità assistenziale esiste una capillare corrispondenza con i propri assistiti. Il singolo paziente può riferirsi a specialità diverse o a diversi medici con la stessa specialità, alla ricerca di conferme e/o di integrare la definizione clinica del proprio malessere, con un consumo ingente di risorse, con una ripetizione impropria e inconcludente di esami strumentali e visite. Il medico di medicina generale, una volta definito medico di famiglia, se davvero resta tale, ben conosce l’ambiente domestico e lavorativo del paziente. Sa se nella famiglia ristretta , negli ascendenti e/o nei discendenti sono presenti patologie che possono trasmettersi geneticamente, anche con una penetranza incompleta. Conosce le abitudini del paziente ed è del paziente un confidente poiché vige un rapporto di fiducia, stabilitosi e consolidatosi nel tempo, con la frequenza e la ripetizione degli incontri con l’assistito. Il medico di famiglia espleta “il convincimento”, poiché il prestigio e il ruolo che ha sono tali da poter influenzare le scelte del paziente, indurlo pertanto a sottoporsi a periodici controlli e a test strumentali anche complessi. Convincere il paziente ad uno stile di vita più salubre, smettendo l’uso di voluttuari, aumentando l’attività fisica e facendo una dieta appropriata. Il medico di famiglia è, altresì, portato alla verifica del risultato poiché è naturalmente in grado di osservare longitudinalmente il paziente.
Ciò è possibile, tuttavia, a condizione che il medico di famiglia sia, con convinzione, disponibile a far ciò, attuando non una medicina d’attesa ma di iniziativa. Il medico stesso deve offrire sé stesso quale medicina nel senso di proporre un modello di vita salubre. Un medico obeso, fumatore, sempre sull’orlo di una crisi di nervi è il peggior “testimonial” per un cambiamento delle abitudini di vita del paziente. Le società scientifiche, le associazioni professionali possono, a tal fine, svolgere un ruolo fondamentale, stimolando i propri associati e , in genere tutti i medici, ad una maggiore consapevolezza del ruolo svolto. Direi, quindi, che studi come gli Euroaspire, promossi dalla Società Europea di Cardiologia, non solo ci hanno dato una immagine realistica della presenza dei fattori di rischio nella popolazione, specie nei soggetti ad alto rischio per malattie cardiovascolari, ma hanno, anche, contribuito a porre una serie di problematiche, quali, per esempio, le difficoltà da parte dei medici a modificare i fattori di rischio e a determinare il cambiamento delle abitudini di vita nei loro pazienti. Il destinatario del messaggio di tali studi e di altri che nel corso di questi ultimi decenni sono stati realizzati, è, pertanto, non solo il paziente ma anche ciascun medico che si trova ad operare nel territorio. Che il controllo dei fattori di rischio sia in grado di ridurre drasticamente l’incidenza delle malattie cardiovascolari è tuttavia ancora da dimostrare, poiché la complessità e la molteplice eziologia e patogenesi delle stesse rende di fatto impossibile azzerare del tutto il rischio. Eppure notevoli passi avanti sono stati compiuti nella comprensione e nel trattamento di tante condizioni. La sindrome metabolica, per esempio, è una condizione della cui esistenza ed importanza si discute abbondantemente da alcuni decenni. E’ un cluster di fattori di rischio, comprendente a parte l’obesità viscerale, l’ipertensione arteriosa, le alterazioni del metabolismo glucidico e lipidico. E’ stata definita tetrade letale poiché la sua presenza incrementa esponenzialmente il rischio di un evento cardiovascolare. Un recente studio ha dimostrato l’esistenza di un continuum nel rischio, secondo il quale la presenza di più fattori nel singolo soggetto è di per sé in grado di incrementare il rischio di eventi maggiori nei successivi anni. Al di là del significato clinico della sindrome, è ovvio che le strategie preventive e terapeutiche devono tendere non solo ad aumentare la sopravvivenza dopo un primo evento, infarto miocardico o ictus cerebri che sia, cosa che è stata resa possibile grazie ad una migliore organizzazione nell’assistenza dell’acuto e una migliore definizione delle terapie più efficaci. E’ necessario evitare o, tutt’al più, ritardare la comparsa del primo evento. Le carte del rischio sono state uno strumento importantissimo per diffondere fra i medici prima e fra i pazienti dopo la cultura della prevenzione. Poco importa che esistano differenze non minime fra l’algoritmo di Framingham, in grado di definire percentualmente il rischio cardiovascolare, il punteggio SCORE che valuta il rischio di morte cardiovascolare o le carte del rischio dell’Istituto Superiore di Sanità, utili per valutare il rischio di ictus o di infarto. Le carte e i trials sono strumenti fondamentali per creare e diffondere la cultura della prevenzione assegnando al medico un ruolo “attivo” nella stessa. Carte, trials e linee guida tuttavia non espletano compiutamente il loro compito, poiché nel singolo soggetto l’insorgenza di una condizione patologica può sfuggire a delle spiegazioni “razionali” alla luce delle conoscenze attuali. Può verificarsi il caso che il soggetto non sia trattato perché inquadrato oltre i limiti posti dalle carte del rischio. Può accadere che il medico non conosca appieno le linee guida o che superficialmente le disapplichi. Può accadere che il paziente non comprenda la necessità di un trattamento in assenza di un qualsiasi disturbo. Taluni pazienti, ad esempio, considerano normali i valori della pressione arteriosa, della propria glicemia o del proprio colesterolo. <<>>. Può accadere che i consigli ricevuti dal medico non riescano ad aprire un varco nelle difesa “psicologica”, attuata dal paziente. La negazione della condizione di rischio è sovente una strada percorsa da molti pazienti. <> Può accadere che il medico sia di cattivo esempio, se approccia il paziente con un aspetto pingue o con la sigaretta sulle labbra. Smettere di fumare è oggettivamente difficile in soggetti con dipendenza psichica o fisica dalla nicotina. La stessa dieta “mediterranea” è sempre più difficile da mettere in pratica considerata la pletora di cibi raffinati, ipercalorici e ad alto tasso di grassi saturi presenti nei banconi dei supermercati, sostenuti da pubblicità tanto accattivanti quanto ingannevoli. A volte si abdica all’idea di modificare lo stile di vita e si relega la prevenzione all’assunzione esclusiva di farmaci. Spesso la coesistenza di più patologie rende complessa la terapia e solo alcuni farmaci, ritenuti “essenziali” vengono prescritti. A volte il paziente autoriduce numero di somministrazioni o sospende farmaci anche fondamentali. Altre volte l’insorgenza di effetti indesiderati, anche di scarsa rilevanza in termini fisiopatologici, induce il paziente alla sospensione del farmaco. In definitiva non tutti i pazienti a cui prescriviamo statine, antiipertensivi, antidiabetici, antiaggreganti, ecc, proseguono indefinitamente nell’assunzione di tali farmaci. E’ il cosiddetto paese reale che appare assolutamente diverso da quello dei trials. Dunque, il medico del territorio, sia esso medico di base o specialista, è costantemente di fronte ad un bivio: praticare una medicina d’attesa, informare il paziente e consegnare ad esso la responsabilità delle scelte da attuare o, al contrario, assumere un ruolo attivo, da protagonista ed artefice di scelte da condividere con il paziente. Quest’ultima ipotesi non può ovviamente essere disgiunta dalla razionalizzazione delle risorse e dal superamento dei limiti delle superspecializzazioni. In una sola parola occorre addivenire alla piena integrazione fra ospedale e territorio, con una specifica distribuzione di competenze e settori di interesse, l’ospedale per gli acuti e il territorio per la prevenzione, la cura e la riabilitazione. La collaborazione dovrà essere leale e reale, con condivisione di ogni informazione clinica del paziente mediante l’informatizzazione e la messa a punto di percorsi comuni condivisi. In tal modo il territorio tornerà ad essere il terreno di iniziative non isolate o sporadiche ma di strategie di grande impatto sociale, economico e clinico. Attraverso i registri per patologia, l’osservazione longitudinale dei pazienti, la verifica dell’aderenza ai percorsi assistenziali e ai protocolli terapeutici, potrà essere certificata la qualità delle cure che è poi la vera sfida a cui il territorio è chiamato.

Bibliografia
1) Quarta Task Force congiunta della Società Europea di Cardiologia e di altre Società sulla Prevenzione delle Malattie cardiovascolari nella pratica clinica Linee guida europee sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari G Ital Cardiol 2008; 9 (1): 11-59
2) Comitato per la stesura delle Linee Guida della Società Europea di Ipertensione Arteriosa (ESH) e della Società Europea di Cardiologia (ESC)ì Linee guida 2007 per il trattamento dell’ipertensione arteriosa G Ital Cardiol 2007; 8 (7): 389-479
3) Task Force Multi societaria. Documento di Consenso. La prescrizione dell’esercizio fisico in ambito cardiologico. G Ital Cardiol 2007; 8 (11): 681-731
4) Sabino Scardi, Carmine Mazzone Riabilitazione cardiovascolare: un valore aggiunto per la prevenzione secondaria? Monaldi Arch Chest Dis 2003; 60: 1, 1-6
5) Cyril Chantler: The role and education of doctors in the delivery of health care Lancet 1999; 353: 1178–81
6) John S. Ho et al.: Relation of the number of metabolic syndrome risk factors with all-cause and cardiovascular mortality Am J Cardiol 2008; 102:689-692
7) Boris Luban-Plozza et al: Il medico come medicina Piccin editore, 1983


The metabolic syndrome
Maria Vaccaro
Medico Specialista ambulatoriale nella branca di diabetologia, AUSL 6 Palermo


The metabolic syndrome is a condition rather widespread in the population of most industrialised countries, and is characterized by simultaneous presence of several cardiovascular risk factors: hypertension, overweight o obesity, dyslipidemia and hyperglicemia.
Long the history of such syndrome, if it is considered that already in the 50’s the Framingham study’s first observations concluded that the presence of more factors was increasing the relative risk of cardiovascular events ( ictus, myocardial infarct, death, etc.) in an exponential way. In 1988 Reaven coined the X syndrome term, recognizing this entity like a multiple and independent risk factor for cardiovascular disease.
Currently there are three definitions more commonly recognized, as the one suggested by the World Health Organisation ( WHO ) ( tab.1), by the International Diabetes Federation ( IDF )( tab.2) and by the National Cholesterol Education Programme Adult Treatment Panel ( ATP III ) (tab.3).
Beyond the differences in the definition and the emergency of the so-called new risk factors, all of metabolic, proinfiammatory and prothrombotic nature, it has to point out that the hypertension is a constant in all the definitions. The prevalence of the syndrome increases with the age and is present in almost half of the over 60 population.
Regarding to the pathogenesis of the hypertension in subjects with metabolic syndrome: the hyperinsulinemia secondary to insulin-resistance seem to play an important role determining both the stimulation of the sympathetic nervous system, with consequent vasoconstriction, and the retention of sodium, responsible of increase in arterial blood pressure value.
The primary goal of clinical management of the metabolic syndrome is to reduce the risk for the cardiovascular disease and type 2 diabetes. Then, the first-line therapy is to reduce the major risk factors for cardiovascular disease: stop smoking and reduce LDL cholesterol, blood pressure and glucose levels to the recommended levels.
The overall results of EUROASPIRE III are rather disappointing. However the results also indicate that insufficient attention goes into lifestyles both from the side of the clinicians and from the patients themselves.
A more comprehensive multidisciplinary and professional approach is neaded, second a model of disease management as it is trying to do for type 2 diabetes mellitus .
Could, therefore, implement a protocol shared with doctors in general medicine:
- diagnostic framework of the first level
- identification of individual at risk
- cardiovascular risk stratification
- management, together with specialists, follow-up of subjects at high risk
- health education and couseling.

TABLE 1. WHO Clinical Criteria for Metabolic Syndrome
Insulin resistance, identified by 1 of the following:
• Type 2 diabetes
• Impaired fasting glucose
• Impaired glucose tolerance
• or for those with normal fasting glucose levels (<110>30 kg/m2 and/or waist:hip ratio >0.9 in men, >0.85 in women
• Urinary albumin excretion rate 20 µg/min or albumin:creatinine ratio 30 mg/g

TABLE 2. IDF Metabolic syndrome definition

Central obesity: Waist circumference– ethnicity specific
Plus any two of the following
Raised triglycerides : ≥1.7 mmol/L (150 mg/dL) or specific treatment for this lipid
abnormality
Reduced HDL-cholesterol:
<1.03>30kg/m2, central obesity can be assumed and waist circumference does not need to
be measured

TABLE 3. ATP III Clinical Identification of the Metabolic Syndrome
Risk Factor

Defining Level

Abdominal obesity, given as waist circumference*

Men
>102 cm (>40 in)
Women
>88 cm (>35 in)
Triglycerides
150 mg/dL
HDL cholesterol

Men
<40>30kg/m2, central obesity can be assumed and waist circumference does not need to
be measured

Tab. 3. IDF Metabolic syndrome definition

LA MORTE IMPROVVISA : EPIDEMIOLOGIA ED IDENTIFICAZIONE DEI SOGGETTI A RISCHIO
GIOVANNI D’ALFONSO
CARDIOLOGIA UTIC OSPEDALE BUCCHERI LA FERLA FBF Palermo

Definizione. Con il termine “ morte cardiaca improvvisa si definisce la morte naturale dovuta a cause cardiache preceduta da perdita improvvisa della conoscenza entro un’ora dall’inizio della sintomatologia. Un’eventuale cardiopatia preesistente può o meno essere stata precedentemente diagnosticata ma il momento ed il modo sono inaspettati.
Epidemiologia. La morte improvvisa colpisce in Italia circa 57000 persone l’anno con un tasso di incidenza che si aggira su 1 caso ogni 1000 abitanti. Il 40 % delle morti cardiovascolari si possono ricondurre a morte cardiaca improvvisa. La morte cardiaca improvvisa da sola rappresenta la causa di oltre il 10 % di tutte le morti che avvengono in Italia.
Cause. Nella maggior parte dei casi la morte improvvisa è secondaria ad aritmie, quella maggiormente documentata è la fibrillazione ventricolare ( 75 – 80 % ) , in presenza di malattie cardiache quali la cardiopatia ischemica o la cardiomiopatia dilatativa. Tuttavia, in una percentuale non trascurabile di casi , essa avviene in individui in cui non è possibile riscontrare anomalie cardiache con le tradizionali tecniche diagnostiche . Le recenti scoperte della biologia molecolare hanno permesso di identificare alla base di esse difetti genetici a carico dei canali ionici cardiaci, che provocano alterazioni elettriche in grado di scatenare aritmie ventricolari maligne , in assenza di substrati patologici sottostanti. Due di queste patologie sono la sindrome del QT lungo ( LQTS ) e la sindrome di Brugada ( SB ) . Queste due entità nosologiche sono state descritte come malattie caratterizzate da quadri clinici ben distinti e riconoscibili anche se nuove evidenze cliniche e sperimentali suggeriscono una possibile sovrapposizione di fenotipi tra la Sindrome di Brugada ed una variante di Sindrome del QT lungo, la LQT3.

CAUSE CORONARICHE E NON CORONARICHE DI MCI
Patologia ischemica acuta
Patologia ischemica cronica
Cardiomiopatia dilatativi
Cardiomiopatia ipertrofica
Cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro.
Valvulopatie
Sindrome del QT lungo
Sindrome di Wolff – Parkinson White
Sindrome di Brugada

MISCELLANEA
· Miocarditi acute virali e non
· Gravi squilibri elettrolitici e l’acidosi
· Effetto proaritmico dei farmaci
· Origine anomala di un arteria coronaria
· Ponti miocardici
· Disturbi di conduzione ( 15 % delle MI è attribuibile ad un meccanismo bradiaritmico che può anche evocare tachiaritmie ventricolari )
· Rottura dell’aorta
· Rottura di cuore
· Embolia polmonare massiva

Patologia ischemica. : stratificazione prognostica. Si effettua con :
Stima del grado di disfunzione sistolica ventricolare sinistra mediante calcolo della frazione di eiezione
Attivabilità del substrato aritmogeno mediante stimolazione ventricolare programmata
Presenza di aritmie ventricolari non sostenute all’ECG dinamico
Presenza di substrato aritmogeno mediante lo studio dei potenziali tardivi ventricolari all’ECG signal averanging
Studio della variabilità della frequenza cardiaca ( HR variabilità ) e della sensibilità barocettiva come espressione del fattore aritmogeno del sistema nervoso autonomo
Ricerca dell’alternanza dell’onda T durante il test da sforzo

Cardiopatia dilatativa.. Una storia di aritmie ventricolari sostenute spontanee è indubbiamente il fattore di rischio più importante così come la presenza di eventi sincopali , una ridotta frazione di eiezione del ventricolo sinistro o una tachicardia ventricolare sostenuta. Sembra scarso il valore predittivo della stimolazione ventricolare programmata.

Cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro. Anche se in questa patologia i fattori predittivi di morte improvvisa sono in via di definizione, la morte improvvisa avviene più frequentemente in pazienti con TV sostenuta o FV, in soggetti con marcate alterazioni del ventricolo destro ed in pazienti con indicibilità allo Studio Elettrofisiologico. Altri fattori predittivi sono una storia familiare di morte improvvisa e la presenza di potenziali tardivi ventricolari.

Valvulopatie. Soprattutto nella stenosi aortica ad alto rischio di morte improvvisa i pazienti con TV sostenute , sincope, angina, disfunzione ventricolare sinistra.

Sindrome del QT lungo. La stratificazione del rischio si asa sull’anamnesi di eventi sincopali , torsioni di punta, arresto cardiaco, storia familiare di morte improvvisa, anamnesi di eventi cardiaci in età infantile , sesso femminile , presenza di T wave alternans ed aumentata dispersione del QT.

Sindrome di Wolff – Parkinson – White. . I soggetti a rischio sono quelli con esaltata vulnerabilità atriale , alta velocità di conduzione della via anomala, dimostrabile con brevissimi intervalli RR preeccitati durante FA indotta ( < 250 ms ) , vie accessorie multiple o localizzate in sede postero – settale. Scarsa la specificità dello Studio Elettrofisiologico. Sindrome di Brugada. La sratificazione del rischio è ancora poco definita : il ruolo dello Studio Elettrofisiologico con la stimolazione ventricolare programmata è controverso. Poiché circa l’80 % delle vittime di morte improvvisa aveva in anamnesi un evento sincopale , si ritiene opportuno includere tra i pazienti ad alto rischio quelli con anamnesi positiva per sincopi. Una storia familiare di morte improvvisa è indubbiamente un altro indicatore di rischio.

Morte cardiaca improvvisa. Riflessioni di un discussant
MARCO DI FRANCO
Cardiologo Accreditato Distretto di Bagheria, ASL 6 Palermo


Domande:
1) L'ECG è sufficiente a identificarla?
2) Come prevenire le morti cardiache improvvise nei giovani atleti? Commento:La morte improvvisa nello sport è legata nella maggior parte dei casi a “problemi cardiaci nascosti”: cardiomiopatia ipertrofica, coronaropatia, aritmie, sindrome del Q lungo. Negli Stati Uniti come in Europa le società scientifiche hanno prodotto delle loro linee-guida per individuare preventivamente questi problemi cardiaci negli aspiranti sportivi. Le linee-guida internazionali puntano fondamentalmente alla "good clinical practice": un’accurata raccolta della storia clinica ed un rigoroso esame obiettivo. Quelle italiane aggiungono – scrupolosamente – un esame diagnostico non invasivo: l’elettrocardiogramma a 12 derivazioni. In questo modo si potrebbero dimezzare le morti improvvise nello sport. Questa posizione sarebbe sostenuta da una ricerca italiana pubblicata su Journal of the American Medical Association (Corrado D et al. Protecting athletes from sudden cardiac death. JAMA 2006: 296: 1593-1601). Lo studio ha confrontato i dati raccolti in Veneto nel periodo tra il 1979 e il 2004 sui casi di morte improvvisa cardiovascolare in una popolazione di atleti con quelli di una popolazione di non atleti. Complessivamente l’incidenza annuale di mortalità è diminuita dell’89 per cento nella popolazione di atleti mentre è rimasta più o meno uguale nella popolazione di non sportivi. Inoltre le percentuali di morte improvvisa nei giovani atleti sono scese dal 4,19 al 2,35 per cento dopo l’introduzione nel 1982 dell’ECG a 12 derivazioni nella visita medica obbligatoria. Dai dati raccolti nello screening dei giovani atleti intrapreso dal Centro di medicina sportiva di Padova si è calcolato che dei 42.386 aspiranti atleti arrivati alla visita medica che comprendeva l’indagine elettrocardiografica, 3914 (cioè il 9 per cento) hanno dovuto eseguire ulteriori indagini cardiovascolari e alla fine 879 (cioè il 2 per cento) non sono stati riconosciuti idonei all’attività agonistica. Questi dati, quindi, sembrano da un lato dimostrare che i controlli approfonditi preliminari sugli atleti riducono le morti improvvise cardiovascolari, e dall’altro sostenere l’importanza di uno screening di massa. Sullo stesso numero della rivista, inoltre, è stato pubblicato un editoriale a firma di due cardiologi statunitensi - Paul Thompson e Benjamin Levine - che è un po’ critico rispetto ai risultati della ricerca italiana ritenendoli interessanti ma non sufficienti per dimostrare che l’ECG dovrebbe rientrare nella pratica routinaria.

Morte improvvisa. Ruolo dell’infermiere
Calogero Gugliotta
P.O. S. Cimino Termini Imerese - AUSL 6 Palermo

Le malattie cardiovascolari rappresentano oggi la causa principale di morte nei paesi industrializzati e la Morte Cardiaca Improvvisa (MCI) ne è l’esempio più drammatico.
Il DAE risulta essere un’arma fondamentale nelle mani dell’infermiere anche all’interno dell’ospedale (soprattutto nelle aree non critiche), per la lotta contro la morte improvvisa.
Nel 2002 è stata pubblicata una revisione sistematica di una ricerca primaria dal titolo: “ Potrebbero gli infermieri di reparto, che usano un defibrillatore automatico esterno, come primi soccorritori migliorare la prognosi dell’arresto cardiaco?”. Questo importante lavoro ha analizzato le ricerche primarie riguardanti la defibrillazione precoce infermieristica. In particolare ha valutato l’impatto che la defibrillazione precoce con DAE eseguita dagli infermieri, quali primi soccorritori delle vittime di un ACC intraospedaliero anche nei reparti non intensivi, può avere in termini d’aumento della sopravvivenza alla dimissione di questi pazienti. I risultati hanno confermato che le persone in ACC che hanno più possibilità di essere dimesse vive, sono quelle che presentano un ritmo defibrillabile e che queste possibilità diminuiscono con l’aumentare dei tempi della defibrillazione.
Numerosi studi hanno dimostrato che la morte cardiaca improvvisa può essere prevenuta con:
- un’adeguata informazione sui fattori di rischio;
- un’adeguata informazione su come trattare precocemente, sul luogo in cui si verificano, eventuali episodi di arresto cardiaco.
L’intervento dell’infermiere che si potrebbe proporre come protagonista della prevenzione elaborando ed attuando un progetto educativo rivolto alla popolazione con gli obiettivi di:
- trasmettere nozioni riguardo ai fattori di rischio delle malattie cardiache;
- insegnare a riconoscere i segni precoci di una patologia cardiaca maggiore;
- formare adeguatamente sulle manovre BLS al fine di garantire una migliore qualità e sicurezza di vita per tutti.
La lotta alla Morte Improvvisa Cardiaca è da anni fondata sull’immediata attivazione della "Catena della Sopravvivenza" – il cui obiettivo è garantire tempestivamente le prime cure del caso direttamente sul posto, per poi delegare al pronto soccorso ospedaliero il trattamento avanzato.
Essa è costituita da 4 anelli concatenati. La mancata attuazione di una delle fasi porta inevitabilmente all'interruzione della catena riducendo in modo drastico le possibilità di portare a termine con esito positivo il soccorso.
I 4 anelli della catena sono:
1° anello = ALLARME PRECOCE: attivazione precoce del sistema di emergenza (118)
2° anello = RCP PRECOCE: inizio precoce delle procedure di Rianimazione Cardio Polmonare
3° anello = DEFIBRILLAZIONE PRECOCE: utilizzo precoce del DAE
4° anello = ALS (advanced life support) PRECOCE tempestiva applicazione delle procedure di soccorso avanzato.
Con la promulgazione della legge del 3/04/2001, n. 120 (Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14/04/2001), si è concretizzata la possibilità di cambiare drasticamente l’emergenza sanitaria territoriale ed i risultati, in termini di sopravvivenza, ottenibili. Al primo comma dell’articolo 1, la legge infatti recita: “È consentito l’uso del DAE in sede extraospedaliera anche al personale sanitario non medico, nonché al personale non sanitario che abbia ricevuto una formazione specifica nelle attività di RCP”.
Per la prima volta, una legge dello Stato italiano consente al personale infermieristico di applicare l’importante provvedimento della defibrillazione, considerato finora atto “esclusivamente” medico.

The cardiovascular illnesses represent today the principal death cause in the industrialized countries and the Sudden Cardiac Death (MCI) is the most dramatic example.
The DAE turns out to be a fundamental weapon in the hands of the nurse also inside the hospital (above all in the not critical areas), for the struggle against the sudden death.
In 2002 a systematic revision of a primary piece of research was published from the title: " the nurses of department, which uses an outside automatic defibrillator could, as first helpers improve the prognosis of the cardiac stop "? This important work has analysed the primary researches concerning the precocious nursing defibrillation. In particular has evaluated the precocious impact than the defibrillation with DAE executed by the nurses, what first helpers of the victims of an ACC intraospedaliero also in the not intensive departments, can have in terms of increase in the survival to the demission of these patients. The results have proved to be that the people in ACC which have several possibilities of being discharged he lives, they are those that they present a defibrillabile rhythm and that these possibilities decrease with increasing it some times by defibrillation.
Several studies have shown that the sudden cardiac death can be biased with:
- an adequate piece of information about the risk factors;
- an adequate piece of information as treat precociously, on the place in which they happen, possible cardiac stop episodes.
The intervention of the nurse whom he could propose himself as protagonist of the prevention elaborating and carrying out an educational project turned to the population with the aims of:
- transmit knowledges about the risk factors of the cardiac illnesses;
- teach to recognize the precocious signs of a greater cardiac pathology;
- form adequately on the BLS manoeuvres in order to guarantee a better quality and life safety for everybody.
The struggle to the Cardiac Sudden Death has been founded on the immediate activation of the "Chain of the Survival"-whose aim is at the right moment directly to guarantee the first cares of the case on the place, aidded then to delegate to the ready one hospital the advanced treatment for years. You have constituted from 4 concatenated rings. The missed putting into effect of one of the phases inevitably takes to the interruption of the chain reducing in a drastic way the possibilities of bringing to an end with positive result the help. The 4 rings of the chain are:
1° = Precocious Alarm ring: precocious activation of the emergency system (118)
2° precocious = RCP ring: precocious beginning of the Pulmonary Cardio Reanimation procedures
3° precocious = DEFIBRILLAZIONE ring: precocious use of the DAE
4° = ALS (advanced life support) ring precocious prompt application of the advanced help procedures.
With the promulgation of the law of the 04/03/2001, no. 120 (official gazette no. 88 of 04/14/2001), she has made concrete the possibility of drastically changing the territorial sanitary emergency and the results, in terms of survival, obtainable. To the first paragraph of the article 1, the law in fact acts: " and allowed the use of the DAE in the extraospedaliera place of business also to the sanitary not medical staff, let alone at the not sanitary staff who has received a specific formation in the RCP activities ".
For the before turns, a law of the Italian state allows the medical nursing staff to apply the important defibrillation provision, considered up to now as act "exclusively" doctor.

I DES di nuova generazione e una diversa terapia antiaggregante cureranno il gigante malato? Riflessioni di un discussant
Giuseppe Gruttadauria
Servizio Cardiologia, Ospedale S. Elia Caltanissetta

Negli ultimi anni sono stati condotti molti studi che hanno dimostrato la buona efficacia e la sicurezza d’impiego degli stent a rilascio controllato di farmaci (DES) sia nel breve, ma soprattutto, nel lungo periodo. I nuovi DES vengono, pertanto, a ragione considerati un avanzamento e la migliore opportunità utilizzabile nella terapia interventistica.
La sensazione di affidabilità di questi presidi, invero, è stata piuttosto incostante. Infatti ad un primo approccio euforico è seguita una sensazione di diffidenza che adesso, con l’avvento dei DES di ultima generazione, si è trasformata nella consapevolezza di avere fatto un reale salto avanti nella pratica cardiologica.
La fase di diffidenza si è realizzata probabilmente per un non adeguato protocollo terapeutico antitrombotico che, in alcuni casi, era corresponsabile di un risultato non eccezionale. Si è, quindi, preferito in quella fase, relegare gli stent medicati ad utilizzi particolari o addirittura ad un utilizzo periferico nelle coronarie.
Le nuove generazioni, invece, per il loro disegno diverso ed un contenuto molto inferiore di sostanze polimeriche sono divenute protesi efficaci ed affidabili.
È molto importante, a mio parere, fare una riflessione sui pazienti che devono essere sottoposti ad intervento chirurgico maggiore non procrastinabile e sono in quel periodo in trattamento con doppia terapia antiaggregante (clopidigrel + ASA). Occorre infatti, in questi casi, creare una finestra terapeutica garantita da un protocollo farmacologico che consenta l’intervento chirurgico senza rischi aggiuntivi. Modi e tempi di tale intervento andrebbero\ pertanto valutati e dovrebbero essere oggetto di un consenso interdisciplinare.

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