lunedì 27 ottobre 2008

Sicilia Cuore 2008 9-11 ottobre


I Sessione - Simposio in collaborazione con GIEC, SIMG e patrocinio SIMEU


Il Dolore Toracico Acuto. Implicazioni medico-legali

Livio Milone (*), Filippo Maria Cascino (**), Massimo Grillo (**), Sergio Cinque (**)
(*) Professore Associato di Medicina Legale, (**) Assistenti in Formazione
Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Legale. Sezione di Medicina Legale. Università degli Studi di Palermo

Per dolore toracico acuto (DTA) si intende qualsiasi dolore localizzato nello spazio compreso tra naso e ombelico, insorto nelle 24 ore precedenti alla valutazione medica, regredito o in atto, potenzialmente di origine cardiovascolare.
Il dolore toracico è uno dei sintomi più importanti e più complessi del nostro organismo. Sicuramente è tra i disturbi che più spesso portano il paziente a consultare il medico (si calcola che sia causa del 6-10% degli accessi in Pronto Soccorso), che può sottendere una sindrome coronarica acuta (SCA) così come essere la manifestazione di una semplice sofferenza miogena intercostale.
Il dolore toracico rappresenta l’epifenomeno di uno stato morboso che può interessare numerose strutture intratoraciche quali il cuore, l’esofago, la pleura, l’aorta, l’arteria polmonare, l’albero tracheobronchiale, il diaframma, il mediastino, ma in via riflessa anche organi extratoracici come lo stomaco, il duodeno, il pancreas e la colecisti, nonchè tessuti del collo e della parete toracica, compresa la cute, i muscoli, il rachide, le articolazioni condrocostali e la mammella.
Una corretta diagnosi può essere formulata non solo sulla base della localizzazione, irradiazione e qualità del dolore, ma anche tenendo conto del comportamento del dolore stesso: insorgenza, regressione, durata, frequenza, nonchè sintomi associati.
Il DTA rappresenta una dei maggiori problemi sotto il profilo clinico e medico-legale per le sue modalità di presentazione (che molto spesso rendono difficoltosa una diagnosi adeguata), per le difficoltà diagnostiche in relazione alla sede di presentazione sanitaria, per l’elevata presenza di falsi positivi e negativi nel corso di valutazione strumentale (il 50% dei pazienti con infarto miocardico acuto non presenta, al momento dell’accesso in Pronto Soccorso evidenti segni di compromis-sione miocardica all’ECG), rappresentando una delle maggiori fonti di contenzioso giudiziario.
Nella valutazione del DT possono essere coinvolte varie figure professionali mediche: il medico di medicina generale, il medico di guardia medica, il medico del servizio 118, il medico di pronto soccorso, lo specialista di reparto e lo specialista operante privatamente nel territorio, ciascuno con problematiche cliniche, possibilità diagnostiche ed implicazioni medico-legali diverse.
Il medico di medicina generale, per il suo precipuo rapporto di assistenza continuativa nei confronti dei propri pazienti, è la figura professionale medica che meglio conosce la presenza di eventuali fattori di rischio di ordine familiare, fisiologico, ovvero patologico che possano predisporre all’insorgenza di sindrome coronarica acuta. L’evidenza di segni e sintomi “sospetti” per DTA di origine cardiovascolare (in presenza di fattori di rischio acclarati) dovrebbe indirizzare il medico di medicina generale all’immediato invio del paziente (anche a mezzo ambulanza, se il caso si presenta particolarmente urgente) presso il più vicino Centro attrezzato per la diagnosi e la eventuale terapia.
Per quanto attiene alla valutazione del dolore toracico nel contesto di un Servizio di Continuità Assistenziale (Guardia Medica), occorre dire che il professionista di stanza presso questa struttura, presenta dei supporti tecnici diagnostici assolutamente limitati, pertanto la propria valutazione clinica deve basarsi esclusivamente su un approccio di tipo semeiotico.
Anche in questo caso, se si ravvisa dall’anamnesi e dalla obiettività (turbe pressorie, aritmie consensuali, etc.) un rischio di patologia cardioischemica elevato, l’invio in pronto soccorso mediante ambulanza risulta fondamentale.
Per quanto concerne poi il professionista in servizio sui mezzi del servizio di emergenza urgenza “118”, i suoi obblighi sono prevalentemente di supporto terapeutico nei confronti dei sintomi presentati dal paziente e di mantenimento dei parametri vitali per la durata del trasporto, mentre non è di sua stretta pertinenza una precisa valutazione diagnostica. Ovviamente i presidi terapeutici messi in atto in quella sede devono essere “ragionati” in base al sospetto clinico che accompagna il paziente.
Rara è invece la possibilità che uno specialista cardiologo ospedaliero, ambulatoriale, ovvero libero professionista, si trovi a fronteggiare per primo l’emergenza dolore toracico acuto. Ovviamente in tali casi, la disponibilità di specifico strumentario (ECG, ecografo) che possa permettere un primo approccio diagnostico, può permettere un più adeguato management del paziente.
Da quanto finora esposto, si evince che il “problema” dolore toracico acuto sia maggiormente avvertito in ambito di Pronto Soccorso, ove il medico di guardia si trova a dover affrontare un sintomo assolutamente aspecifico, facilmente mistificabile
anche a un’accurata analisi strumentale, che può essere l’unico messaggero di condizioni potenzialmente letali quali la sindrome coronarica acuta.
In ambito di Pronto Soccorso assume un ruolo fondamentale il triage: l’iniziale valutazione da parte di personale infermieristico adeguatamente preparato permette di inquadrare immediatamente, prima dell’accesso nelle sale del Pronto Soccorso, l’obiettività clinica del paziente in modo da attribuire un codice di gravità al paziente, che consente di selezionare e smistare i pazienti in base ai dati clinici presentati.
Ovviamente un codice attribuito non è immodificabile! La rivalutazione serve proprio a evidenziare un eventuale aggravamento o miglioramento delle condizioni cliniche del paziente ed eventualmente ad attribuire un nuovo codice. Una mancata rivalutazione in sede di triage espone il personale infermieristico adibito a tale compito a profili di responsabilità professionale.
Il passo successivo consiste nella valutazione da parte del medico di Pronto Soccorso, che, a differenza dell’infermiere triagista, ha obbligo diagnostico, dovendo distinguere un DT cardiogeno da uno non cardiogeno, utilizzando gli opportuni
supporti strumentali e laboratoristici (ECG, dosaggi enzimatici, ETG, Rx) e, nel caso di dubbio diagnostico importante, avvalendosi di una consulenza specialistica cardiologica.
La visita, specialmente nei casi con sospetto diagnostico importante, non può limitarsi alla singola valutazione del soggetto, imponendosi di fatto una rivalutazione ECGrafica o enzimatica, qualora il ragionamento clinico lo imponesse.
La collaborazione tra infermiere di triage, medico di pronto soccorso ed eventuale compartecipazione dello specialista cardiologo, configura un tipico esempio di lavoro d’equipe, che compie interventi integrati, finalizzati al raggiungimento dell’obiettivo diagnostico ovvero terapeutico nei confronti del paziente.
In quest’ambito vige il cosiddetto principio di affidamento, secondo il quale ciascun professionista si “affida” alla preparazione del collega d’equipe, mantenendo comunque un controllo sull’operato dei colleghi, per le attività mediche patrimonio di un professionista mediamente preparato. È ovvio che nel caso di errori frutto di attività altamente specialistiche e settoriali, questo “controllo” sull’operato dei colleghi non può essere attuato. Di conseguenza, in caso di gravi lesioni o di omicidio colposo, da un punto di vista legale assume fondamentale importanza stabilire se l’“errore evidente” sia un “errore comune” in grado di coinvolgere nell’addebito della responsabilità l’intera équipe, oppure sia “particolare o settoriale”, e quindi di pertinenza propria dello specialista che l’ha cagionato. Al capo-équipe spetta “una posizione di garanzia, in virtù della quale egli è tenuto non solo a impartire al personale medico e paramedico le adeguate istruzioni per la cura del paziente, ma è tenuto anche a predisporre le opportune misure affinché le proprie istruzioni vengano eseguite”(Cass. Pen. Sez IV 11.03.2005, n. 9739)
Da un punto di vista penalistico, si configura un profilo di responsabilità professionale qualora coesista la triade costituita da errore, danno e nesso di causalità. Il nesso causale è il trait d’union tra la condotta omissiva o commissiva considerata come errore e il danno patito dal paziente. In mancanza di nesso causale viene a mancare uno dei fondamenti della responsabilità professionale e, di conseguenza, la responsabilità professionale stessa. Questo vuol dire che non tutti gli errori sono fonte di responsabilità, se non determinino nel soggetto passivo un danno.
In ambito medico, i reati dolosi e preterintenzionali sono strettamente correlati col problema del consenso informato, aspetto secondario in condizioni di emergenza.
In caso di reati di tipo colposo (art. 43 CP : “quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”), si distingue una colpa generica (costituita da negligenza, imprudenza, imperizia) da una colpa specifica (derivante da inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline).
Nel caso specifico del DTA in regime di PS la negligenza (intesa come trascuratezza, scarsa prontezza d’azione, superficialità) può essere ravvisabile in colui che temporeggia eccessivamente prima di valutare clinicamente il paziente, perdendo del tempo prezioso per la messa in atto dell’adeguata terapia, nel caso di mancata o inidonea esecuzione di ECG (anche l’assenza di rivalutazione ECG nel corso dell’accesso in PS in caso di ragionevole sospetto clinico), nel caso di mancata valutazione seriata degli enzimi di necrosi cardiaca. L’imprudenza (intesa come atteggiamento poco prudente, precipitazione, avventatezza) si ha ad esempio nel caso di mancata rivalutazione di un soggetto con alto sospetto di sindrome coronarica acuta, il cui primo ECG ha dato esito negativo, o la dimissione di un soggetto non adeguatamente valutato in regime di P.S. L’imperizia (intesa come scarsa preparazione tecnica, mancanza di esperienza specifica nel settore considerato) si ha nel caso di interpretazione non corretta di un ECG con segni patologici ovvero di segni clinici indicativi di infarto acuto del miocardio.
Per ciò che attiene alla colpa specifica, bisogna valutare se in ambito medico siano presenti leggi, regolamenti ordini o discipline, che possano configurare una tale tipologia di colpa: il riferimento alle linee guida è in questo senso abbastanza chiaro. Le linee guida sono indicazioni stilate dalle comunità scientifiche, il cui fine è quello di indirizzare il sanitario verso un preciso iter diagnostico e/o terapeutico. I vantaggi derivati dall’utilizzo delle linee guida consistono in un continuo aggiornamento del professionista e un più efficiente approccio a molte situazioni cliniche, con riduzione delle percentuali di mortalità e morbilità dei pazienti e riducendo anche i costi di gestione sanitaria; ovviamente il rovescio della medaglia consiste nella mortificazione dello spirito d’iniziativa del medico, ridotto a mero esecutore di quanto indicato dalle stesse linee guida (impostate valutando il caso generale, mal adattandosi talora al caso concreto).
Se le linee guida venissero considerate come schemi di comportamento protocollari ogni lieve scostamento da ciò che viene considerato come comportamento ideale costituirebbe un punto di partenza per il contenzioso giudiziario nei confronti dei medici.
Allo stato attuale, per i motivi anzidetti, le linee guida vengono considerate alla stregua di “indicazioni” e non di “dettami protocollari”, lasciando al medico la libertà di modulare la propria attività al caso concreto presentatosi al suo cospetto, ovviamente nel rispetto della scienza medica.
In ordine alla valutazione di comportamenti sanitari che determinano contenzioso giudiziario, appare evidente come sia compito dello specialista medico-legale coadiuvato da un consulente cardiologo (come anche precisato dall’art.62 del Nuovo Codice di Deontologia Medica), valutare concretamente quanto avvenuto, perché come già affermato, non è sufficiente che si verifichi un errore affinché si configuri un profilo di responsabilità professionale.

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